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penelope - Donne coraggiose Empty Zinaida Portnova

Ven Apr 19, 2024 9:45 pm
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Lei è Zinaida Portnova, nota per aver fatto ammalare/ucciso più di 100 nazisti avvelenando il loro cibo.  Fu catturata dalla Gestapo e mentre veniva interrogata, afferrò la pistola del detective nazista e gli sparò alla testa.  Nel suo tentativo di fuga ha ucciso altri due nazisti.  Fu giustiziata all'età di 17 anni.
Per saperne di più:
https://stachanovblog.org/2022/01/23/zinaida-portnova/

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penelope - Donne coraggiose Empty Mariannina Ciccone, la Tigre di Noto

Mar Apr 09, 2024 8:44 pm
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Questa volta voglio raccontarvi di una grande donna sia per il contributo fornito soprattuto alla Fisica che per il coraggio dimostrato. Lo spunto me lo ha dato la lettura di un libro: Simona Lo Iacono - La tigre di Noto (presentato su questo forum)
Dunque il 29 agosto 1891 nasceva a Noto Marianna Ciccone.
La sua è una storia singolare, che racconta una coraggiosa siciliana che in tempi difficili per l'affermazione delle donne del Sud e nel mondo accademico, volle comunque inseguire il suo sogno di studiare Fisica.
A lungo dimenticata, la sua storia è tornata alla luce nel 2016, grazie ad alcune ricerche sui saccheggi del patrimonio universitario italiano da parte dei nazisti. La nostra prof fu infatti protagonista di un gesto eroico che nel luglio del 1944 salvò l'Istituto di Fisica dell'Università di Pisa dalla distruzione.
Scopriamo insieme cosa accadde...
Dopo aver conseguito un diploma all’istituto magistrale di Noto, nel 1914, riesce ad ottenere presso l’Istituto tecnico “Archimede” di Modica la licenza fisico-matematica. Quest’ultimo titolo le permetterà di frequentare l’università.
Con in valigia fame di sapere in gran quantità ed una buona dose di coraggio, Mariannina Ciccone lasciò allora la Sicilia. Per condurre un’esistenza diversa da quella di numerose conterranee e coetanee, poco prima della Grande Guerra questa fuorisede ante litteram raggiunse Roma, dove frequentò la Facoltà di Matematica dell’Università “La Sapienza”.
Dopo un solo anno di studi, partì alla volta di una città che l’avrebbe accompagnata per lungo tempo, Pisa. Il fatto di essere l’unica donna iscritta alla facoltà di Matematica presso la Scuola Normale Superiore non la frenò: divenne Dottoressa nel 1919.
Aver conquistato l’abilitazione all’insegnamento presso la stessa Normale le permetterà, inoltre, di sedere dietro una, anzi più cattedre. Nel periodo compreso tra il 1920 ed il 1924, la siciliana insegnò presso le scuole medie di Pisa, senza mai smettere di studiare. Nel 1924 arrivò per Mariannina Ciccone una seconda laurea, questa volta in Fisica. L’anno seguente avrebbe ricoperto l’incarico di assistente aggiunta all’Istituto di Fisica.
Proprio in questi anni questa talentuosa donna iniziò a pubblicare diversi lavori relativi a studi da lei stessa condotti. Ma su cosa? Tra i temi affrontati, spicca la struttura della materia. Ma Mariannina si dedicò anche a ricerche nel campo della Spettroscopia (disciplina che ha per oggetto lo studio degli spettri delle radiazioni elettromagnetiche e corpuscolari) nell’infrarosso, pubblicate in particolare su Nuovo Cimento, rivista di Fisica a cura della Società Italiana di Fisica.

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Tali ricerche, seppur caratterizzate da metodi classici, fornirono un notevole contributo alla ricerca sulle vibrazioni molecolari.
Gli studi in Spettroscopia restarono per lei prioritari anche quando, nel 1935, la studiosa raggiunse la Germania e, con questa,  il premio Nobel per la chimica nel 1971 Gerhard Herzberg, con cui collaborò.
L’anno seguente conquistò la libera docenza in Fisica sperimentale, che di lì a poco le avrebbe permesso di iniziare a ricoprire un ruolo che l’avrebbe accompagnata fino al pensionamento. La siciliana diverrà e resterà titolare dell’insegnamento di Spettroscopia presso il corso di laurea in fisica dell’Università di Pisa.
Nel 1935 è a Darmstatd in Germania da Gerhard Herzberg (Nobel per la chimica nel 1971), con cui collabora approfondendo i suoi studi in spettroscopia.
Nel 1936 riceve l'abilitazione all'insegnamento universitario della Fisica sperimentale e dal '39 insegna spettroscopia all'Università di Pisa.
Mariannina Ciccone cercò di creare e tener viva una scuola di spettroscopia sperimentale e ottica a Pisa, con insegnamenti teorici e sperimentazioni pratiche di laboratorio che furono il suo principale campo di ricerca e la passione di tutta una vita.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Istituto di Fisica contò come unica docente proprio la netina, che tentò e riuscì a garantire da sola diversi insegnamenti, tra quelli appartenenti ai suoi ambiti disciplinari.
Particolarmente significativo un episodio da collocare negli anni della Seconda Guerra Mondiale, su cui ha fornito numerosi dettagli il Professor Marco Piccolino.
Nell’estate del 1944, e più in particolare a partire dal 23 giugno 1944, i militari tedeschi razziarono l’Istituto di Fisica pisano in più fasi.
Tra tutti, spiccavano i due ufficiali Hans Nothdurf e Guido Dessauer. Quest’ultimo, in particolare, era il Commissario per le Ricerche in Alta Frequenza della R.U.K., cioè dell’Istituzione del Terzo Reich che in Italia era incaricata del saccheggio di apparati industriali e tecnici, oltre che di materiale bibliografico che potesse apparire utile allo sforzo bellico tedesco.
Un’ala dell’Istituto, attuale Palazzo Matteucci, era stata colpita e seriamente danneggiata. Secondo quanto raccontato dal fisico pisano Adriano Gozzini, per evitarne la totale devastazione, la siciliana comunicò in tedesco con i nazisti, minacciando di non abbandonare l’edificio, a costo di perdere la vita.
Ma Mariannina Ciccone non riuscì solo ad evitare che quel plesso si trasformasse in un cumulo di macerie: grazie a questa donna, oggi non si narra di alcun disastroso saccheggio di strumenti scientifici e del patrimonio bibliotecario.
Gozzini racconta che, dopo l’esplosione (probabilmente il 7 luglio 1944), i nazisti con a capo Dessauer tentarono di portare via i migliori strumenti ottici e libri, sostenendo di volerli mettere in salvo conservandoli in luoghi appositamente predisposti nei pressi di Milano.
Accortasi di ciò e scorgendo l’inganno insieme al Direttore Luigi Puccianti, Mariannina  “si precipitò sui soldati tutta infuriata, come una tigre difenderebbe i suoi piccoli, lasciando loro l’alternativa tra, uccidere lei lì sul posto, o rinunciare alla razzia”.
Fortunatamente i nemici scelsero la seconda opzione, dunque rinunciarono a quei beni.
Mariannina mostrò grande coraggio e piena dedizione, autorità statali ed accademiche rivolsero la propria gratitudine riservandole diversi encomi ufficiali.

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Lasciatasi alle spalle quel terribile conflitto, la Ciccone non potette che ricominciare ad insegnare. Nel 1947 divenne anche incaricata del Laboratorio di Fisica.
Andrà ricordato, inoltre, che sia nel 1943 che nel 1951, fu vincitrice di due concorsi per ordinario di Fisica sperimentale, eppure non venne chiamata in servizio in nessuna università.
Per un anno, a partire dal 1953, approfondì le proprie conoscenze grazie ad un periodo di studio e di ricerca a Parigi, città in cui frequentò sia il Laboratoire des Recherches Physiques del CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique), presso La Sorbona, che il Laboratoire d’infrarouge de Physique, Biologie et Chimie dell’Institut du Radium “Pierre Curie”, presso il Collège de France.
Dopo questa esperienza accrebbe i propri interessi. Continuerà ad occuparsi di Spettroscopia nell’infrarosso ma non senza tentare di indagare maggiormente anche su spettroscopia nell’ultrarosso, Fisica nucleare e Spettroscopia nucleare.
Per la Ciccone il 1953 rappresentò un anno importante anche per via di un’altra ragione. Da qualche tempo aveva intrapreso nuovi indirizzi di ricerca dalla nuova direzione della cattedra di Fisica sperimentale subentrata a Puccianti: per tale ragione Anna Maria venne trasferita d’ufficio alla cattedra di Chimica fisica dell’Istituto di Chimica di Pisa.
Non si ruppe, tuttavia, il legame con la Fisica e la Spettroscopia: continuò a impartire lezioni.
La curiosità e l’abilità di questa donna furono per lei preziosa ed inesauribile fonte di energia, in grado di spingerla a condurre a Pisa attività di ricerca e insegnamento fino all’età di 71 anni, sebbene fosse stata già collocata a riposo nel 1956.
La vita di Anna Maria Ciccone, pur costellata da numerosi spostamenti, si concluse dove aveva preso avvio: nella sua Noto, il 29 marzo 1965.



"Anna Maria Ciccone. Straordinarietà di una vita normale"


Fonti: scienzaconlapancia-padova.blogautore.repubblica.it, catania.liveuniversity.it

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penelope - Donne coraggiose Empty Le sacerdotesse di Dioniso

Gio Mar 21, 2024 2:17 pm
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Un antico aneddoto, sospeso tra realtà e leggenda, narra che intorno al 350 a.C. alcune sacerdotesse del dio greco Dioniso trascorsero una notte "invasate dai furori bacchici". 
In pratica si inebriarono durante qualche rito e vagarono in stato di ebbrezza da Delfi fino alla città di Amfissa, dove si addormentarono in mezzo alla piazza principale. 
Senza accorgersene, le sacerdotesse erano entrate in territorio nemico. La città era infatti piena di soldati potenzialmente pericolosi agli ordini di alcuni tiranni focesi. 
Le donne di Amfissa, temendo che le sacerdotesse potessero essere aggredite o molestate dai soldati, si disposero attorno alle dormienti formando un cerchio protettivo.
Quando le sacerdotesse si svegliarono, le donne di Amfissa diedero loro del cibo. Infine le scortarono fino alla frontiera garantendo la loro sicurezza.
Questo antico gesto di solidarietà femminile, narrato dal biografo greco Plutarco, fu illustrato in uno splendido dipinto del 1887 dal pittore Lawrence Alma-Tadema.

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penelope - Donne coraggiose Empty Ipazia di Alessandria

Gio Mar 14, 2024 6:34 pm
Qualche mese fa mi è capitato fra le mani un libro di Dacia Marini col titolo "Nel nome di Ipazia". Il contenuto era una raccolta di articoli della grande scrittrice in tema donna. L'inizio spiega chi sia stata Ipazia. E ritengo che questa giovane debba di diritto stare nelle donne coraggiose.

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Ipazia d’Alessandria (in latino Hypatia), scienziata e filosofa greca, è ancora oggi un simbolo della libertà di pensiero, a 1600 anni dalla sua uccisione per mano di fanatici religiosi. Nata fra il 355 e il 370 (c’è incertezza sulla data esatta) presso Alessandria d’Egitto, fu una importantissima matematica, filosofa ed astronoma.
Figlia del noto filosofo Teone, studiò fin da giovanissima nella enorme biblioteca d’Alessandria, e ben presto fu a capo della Scuola Alessandrina. Donna di enorme cultura, di lei non sono rimasti scritti probabilmente a causa di uno dei tanti incendi che distrusse la biblioteca (c’è incertezza fra gli storici ma la distruzione della Biblioteca Alessandrina potrebbe essere avvenuta proprio durante la vita di Ipazia, nel 400).Nonostante l’assenza di suoi scritti, altri filosofi del tempo ne parlano come una delle menti più avanzate esistenti allora.

Arrivò a formulare anche ipotesi sul movimento della Terra, ed è molto probabile che cercò di superare la teoria tolemaica secondo la quale la Terra era al centro dell’universo.
Ipazia viene ricordata anche come inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio, strumento con il quale si può misurare il diverso peso specifico dei liquidi.
In filosofia aderì alla scuola neoplatonica, anche se secondo le fonti storiche lo fece in modo originale ed eclettico, e non si convertì mai al cristianesimo (uno degli elementi che la condannò a morte). Oltre a tradurre e divulgare molti classici greci (è grazie a lei ed al padre se le opere di Euclide, Archimede e Diofanto presero la via dell’Oriente tornado poi in Occidente moltissimi secoli dopo), insegnò e divulgò fra i suoi discepoli le conoscenze matematiche, astronomiche e filosofiche all’interno del Museo di Alessandria, che a quel tempo era la più importante istituzione culturale esistente.
In un clima di fanatismo, di ripudio della cultura e della scienza in nome della crescente religione cristiana, Ipazia venne trucidata nel marzo del 415, lapidata in una chiesa da una folla di fanatici. Il suo nome è tornato famoso durante l’Illuminismo, quando molti autori hanno iniziato a ricordarne la sua libertà di pensiero e l’alto livello a cui erano giunti i suoi studi. Da allora viene ricordata come un simbolo della libertà di pensiero e dell’indipendenza della donna, oltre che come martire del paganesimo e in generale del dogmatismo fondamentalista.
Al suo nome è dedicato il Centro Internazionale Donne e Scienza, creato nel 2004 dall’UNESCO a Torino per sostenere lo studio, la ricerca e la formazione in particolare delle donne scienziate del Mediterraneo. Il suo essere donna infatti, in un clima di fanatismo religioso, fu un aggravante per la sua posizione di persona di libero pensiero. La religione cristiana in espansione non accettava che la donna potesse avere ruoli importanti nella società, men che meno una posizione libera come quella sua, capace di aprire le menti e di non inchinarsi a nessun dogma. Inoltre in un clima in cui si imponeva alle donne di girare con velo e di restare chiuse in casa in posizione di subordinazione all’uomo, non poteva essere accettato che una donna formulasse ipotesi sul funzionamento del cosmo intero.

Fonte: ipaziatrainingacademy.it

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penelope - Donne coraggiose Empty Le sorelle Pilliu

Lun Mar 11, 2024 6:19 pm
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Una storia di resistenza, di coraggio, e di giustizia (non completamente ottenuta). È la storia delle sorelle Pilliu, tristemente nota a tutti per le vicende legate alle loro abitazioni di piazza Leoni, a Palermo, diventate oggetto di interessi della mafia sin dagli anni '80.
Abbiamo voluto ripercorrere la storia, una storia in cui le donne sono le totali protagoniste (in positivo), con Savina Pilliu, l’unica delle due sorelle rimaste in vita.
Il racconto inizia sin dalle origini della famiglia, origini che non sono siciliane: «I miei genitori erano entrambi sardi, si sono conosciuti a Palermo - racconta Savina Pilliu -. Nelle case di via Leoni siamo nate io e mia sorella, Maria Rosa. E purtroppo, sempre qui, è morto anche mio papà».
I problemi, così chiamati, per le sorelle Pilliu iniziano con il costruttore Rosario Spatola: «Un giorno – racconta Savina – si presenta in negozio questo signore, dicendo di essere interessato a comprare questi immobili. Ci spiega che avrebbe demolito le case e costruito un grande palazzo».
«Due settimane dopo mia madre notò un uomo in arresto alla tv e in quell'uomo riconobbe proprio Rosario Spatola».
Da Spatola si passa a un altro costruttore, ovvero Pietro Lo Sicco, che come il predecessore si presenta alla porta delle Pilliu chiedendo le case, forte della proprietà acquisita del terreno retrostante: «Lui si è presentato come possibile costruttore, ma non specificò neanche cosa aveva intenzione di realizzare.
Cambiò versioni più volte, ma non parlò mai di immobili. Noi avevamo necessità di rimanere in zona, avendo il negozio qui; così lui ci propose un altro appartamento».
Al rifiuto di vendere cominciano le stranezze. La zona viene presto recintata. Consultanto le carte del progetto, le Pilliu scoprono che anche le loro case erano state inserite all’interno della concessione, sebbene non ci fosse mai stata una vendita.
Molti degli allora proprietari, a quel punto, decidono di vendere ma non le  sorelle Pilliu: loro decidono di non cedere. Loro decidono di resistere.
Iniziano così le intimidazioni: «Abbiamo ricevuto così tanti fusti di calce davanti al negozio che penso avessero esaurito persino i fornitori, tanto è vero che li fecero arrivare persino dalla provincia».
Non solo calce: «Ci arrivavano anche corone di fiori, non proprio il massimo del piacere - ricorda con rabbia Savina -. Avevano anche messo le nostre case su riviste di annunci immobiliari e ricevevamo centinaia di telefonate al giorno».
Per non parlare, poi, delle continue telefonate anonime.
Fino a quel momento, le  sorelle Pilliu non avevano presentato ancora nessuna denuncia.
Nel 1992, incontrano il giudice Paolo Borsellino. Savina Pilliu lo ricorda con emozione: «Lui non faceva domande, ti lasciava libera di parlare. Dopo due brevi incontri dovevamo vederci il 13 luglio, ma il giudice ebbe un contrattempo.
La data successiva sarebbe stata il 15, ma essendo il Festino non abbiamo potuto presenziare, abbiamo così chiesto un’altra data. Lui si scrisse il mio numero sulla famosa agenda rossa, dicendo che ci avrebbe richiamato. Ovviamente non successe mai e tutti sappiamo perchè».
L'uccisione del giudice Borsellino colpì molto le Pilliu: «Provai sgomento e dolore. Non riesco a concepire come qualcuno possa arrogarsi il diritto di decidere delle vite altrui».
Nonostante tutto, le sorelle non mollano. «Noi, io e mia sorella, siamo sempre state perseveranti. I nostri “avversari” non hanno calcolato diversi fattori. Forse ci hanno sottovalutato, quegli uomini, pensando che noi con noi, donne, avrebbero avuto vita facile. Io invece credo che noi siamo riflessive, determinate, e penso che le cose le risolviamo meglio».
«Da dove vengo io, dalla Sardegna, comandano le donne. Forse loro non lo sapevano», sottolinea Savina.
In questa battaglia, al fianco delle Pilliu ci sono state diverse donne, tra queste i magistrati Antonella Consiglio e Vincenzina Massa. Siamo nel marzo del 1993 ed è allora che le sorelle decidono di denunciare.
«Io ho vinto la causa di risarcimento danni per riparare le case – ci spiega Savina – ma non abbiamo mai ricevuto nulla, al contrario lo Stato ci ha chiesto di pagare le tasse per la registrazione di sentenza».
Le case, ad oggi abbandonate, sono ancora lì: «Si dovrebbero riparare ma continuano a non riconoscerci nessun fondo, neanche quello di vittime di mafia. Abbiamo ricevuto ingenti danni. Abbiamo anche subìto cinque anni di processo per crollo colposo. Alla fine però siamo state assolte per non aver commesso il fatto».
La mafia ha provato a sconfiggere due donne, in vari modi, ma non ci è riuscita. Ci spiega la Pilliu: «Io non so se è soltanto perché siamo donne. Certo, non potevano sapere che siamo anche di sangue sardo in purezza, persone difficili da influenzare. Molti mi chiedono se mi sono pentita, assolutamente no. Anzi, avrei dovuto fare di peggio».
Sì, perchè quella di Savina Pilliu «non è solo una storia di mafia», come scrivono Pif e Marco Lillo nel libro "Io Posso", in cui raccontano la storia delle due sorelle e della loro battaglia.
«Dalle cose che racconta - scrive Pif nel libro - infatti è chiaro che, ogni volta che con Maria Rosa e la madre hanno bussato alla porta di qualcuno per chiedere aiuto e giustizia, dall'altra parte c'è stato spesso un atteggiamento di sufficienza. Negli anni settanta, tre "femmine" senza alcuna parentela importante decidevano che nessuno poteva metter loro i piedi in testa».
Tanta la solidarietà femminile ricevuta in questi anni. «Facendo una riflessione oggi, 8 marzo - dice Savina Pilliu -, devo dire che le donne incontrate su questo cammino hanno messo più sentimento e perseveranza. Forse per solidarietà femminile, non lo so, ma il mio riscontro è stato questo».
Infine, un messaggio da parte di Savina Pilliu per tutte quelle persone oneste, in special modo le donne imprenditrici, quelle che non abbassano mai la stessa.
«Il nostro caso non è isolato. Oggi, quando parlo con le scolaresche, dico sempre che se uno ha un diritto lo deve chiedere, pretendere e ottenere. Se abbassi la testa anche una volta sola, hai perso. Vorrei che tutti quanti percorressero la strada di ciò che vogliono fare, senza imposizioni. Seguite la vostra strada, sempre. Con determinazione».



Fonte:balarm.it (Peppe Musso)

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penelope - Donne coraggiose Empty Hedy Lamarr

Ven Mar 08, 2024 4:45 pm
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Lei è Hedy Lamarr e, a ragione, fu definita “la donna più bella del mondo”.
Ma oltre ad essere una stella di Hollywood è stata una geniale inventrice: è infatti anche grazie a lei se oggi abbiamo il wirelless.
Nata a Vienna, sognava di fare l’ingegnere, anche se poi finì per divenire famosa come grandissima attrice.
Di notte però… inventava! 
E in piena Seconda Guerra Mondiale, con il compositore George Antheil sviluppa un metodo per guidare a distanza i siluri, ispirato a un sistema che permetteva di sincronizzare diversi pianoforti.
Nel 1942 il brevetto viene presentato alla Marina Americana ma ai vertici dell’epoca anche solo il fatto di poter prendere in considerazione una idea portata da una bellissima attrice e da un musicista sembra impensabile. 
Il brevetto finisce così in un cassetto e verrà recuperato solo negli anni ’50 utilizzato prima a scopi militari e poi nelle telecomunicazioni, cellulari inclusi.


Barbara Gallavotti

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penelope - Donne coraggiose Empty Eva Mameli Calvino

Gio Mar 07, 2024 12:25 am
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Eva Mameli Calvino


La madre di Italo Calvino, di origini sarde, ricoprì il ruolo di direttrice presso l'Orto Botanico di Cagliari.
La madre del rinomato scrittore e intellettuale, Eva Mameli, proveniva da una famiglia della borghesia medio-alta. Il padre, Giovanni Battista Mameli, un colonnello dei carabinieri, e la madre, Maddalena Cubeddu, decisero di trasferirsi in Sardegna dopo il pensionamento. Trasmettendo ai loro figli ,indipendentemente dal loro genere , un forte valore per l'educazione, lo studio e l'impegno massimo nella vita e nella carriera, diedero un solido fondamento ai loro percorsi. 


La loro primogenita, Eva Giuliana, nata il 12 febbraio 1886 a Sassari, frequentò un liceo pubblico, tradizionalmente riservato ai maschi, dimostrando presto un vivo interesse per le scienze e iscrivendosi successivamente al Corso di matematica presso l'Università di Cagliari.

Dopo aver conseguito il diploma e aver perso il padre, Eva si trasferì a Pavia per essere vicina al fratello maggiore, Efisio (1875-1957), uno dei fondatori del Partito Sardo d'Azione. Lì, frequentò il Laboratorio crittogamico di Giovanni Briosi (1846-1919), un laboratorio focalizzato sullo studio di piante "inferiori" come muschi e alghe, che si rivelarono di fondamentale importanza per gli studi di fisiologia, patologia ed ecologia vegetale.


 Eva si appassionò tanto da continuare le sue ricerche come assistente volontaria anche dopo aver ottenuto la laurea in scienze naturali nel 1907. Nel 1908 ottenne il diploma della scuola di magistero e, due anni dopo, l'abilitazione per la docenza in scienze naturali per le scuole normali. Vinse anche due concorsi per borse di studio di perfezionamento, che le consentirono di proseguire l'attività di ricerca.


 Nel 1911 ottenne il posto da assistente di botanica e nel 1915, diventando la prima donna in Italia a farlo, ottenne la libera docenza in questa disciplina. Il suo primo corso universitario, "La tecnica microscopica applicata allo studio delle piante medicinali e industriali", testimonia sia la sua preparazione scientifica sia la sua inclinazione per la scienza applicata.


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Durante gli anni della prima guerra mondiale, si impegnò come volontaria della Croce Rossa e ricevette riconoscimenti significativi come la medaglia d'argento dalla Croce Rossa e quella di bronzo dal Ministero dell'Interno. Tuttavia, al termine del conflitto, si trovò di fronte a decisioni difficili: all'età di 34 anni, con la scomparsa del maestro Briosi e il trasferimento del fratello Efisio alla cattedra di Chimica farmaceutica a Cagliari, si ritrovò sola e senza chiare prospettive per il futuro.


Nell'aprile del 1920, la vita di Eva prese una svolta importante quando incontrò Mario Calvino, un uomo serio e impegnato, conosciuto qualche tempo prima. Mario, come Eva, era molto serio e impegnato in diversi ambiti scientifici, educativi e sociali. Era originario di Sanremo ma si era trasferito in Messico nel 1908 e poi a Cuba, dove dirigeva una stazione agronomica. Aveva bisogno di un collaboratore esperto in genetica vegetale e chiese a Eva di sposarlo e trasferirsi con lui. 


Senza pensarci molto, Eva accettò entrambe le proposte. Insieme, vissero una vita semplice ma felice, dedicata al lavoro e allo studio. A Cuba nacque il loro primo figlio, Italo Giovanni, che sarebbe diventato uno dei più grandi scrittori italiani del XX secolo. 
Eva Mameli Calvino fu la prima donna italiana a ottenere il titolo di libero docente all'università e fu direttrice dell'Orto Botanico di Cagliari tra il 1926 e il 1929.

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Dom Feb 04, 2024 9:01 pm
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Margaretha Geertruida Zelle, nome d’arte Mata Hari (1876-1917). 


In malese Mata Hari significa "giorno" o "occhio del sole". Foto: Robert Hunt.
Nelle prime ore del 15 ottobre 1917, Mata Hari, una delle spie più famose del 20° secolo, fu svegliata nella sua cella di prigione. Era giunta la sua ora. Su sua richiesta fu battezzata e, data una penna, inchiostro, carta e buste, Mata Hari fu autorizzata a scrivere due lettere, che la direzione del carcere non spedì mai. Scarabocchiò frettolosamente gli appunti prima di indossare le calze nere, i tacchi alti e un mantello di velluto bordato di pelliccia.
Dalla prigione di Saint-Lazare fu trasferita al castello di Vincenne, alla periferia di Parigi. Erano appena passate le 5:30 quando affrontò il plotone di esecuzione composto da 12 fucilieri. Le venne offerto una benda per gli occhi, ma lei rifiutò: la leggenda narra che mentre gli ufficiali prendevano la mira, Mata Hari mandò loro un bacio. Dei dodici colpi, solo quattro la colpirono. Nessuno reclamò il corpo, il quale fu trasportato all'Istituto di medicina legale di Parigi, sezionato e in seguito sepolto in una fossa comune.
Nata nel 1876 nei Paesi Bassi, Margaretha era stava svezzata nell'agio, ma si trovò presto a dover fare i conti con l'indigenza dopo il tracollo finanziario della sua famiglia. Nel1890 il padre l’abbandonò e la madre morì l’anno dopo. Lasciata la casa natale il padrino la mandò in un collegio per future maestre, ma le eccessive attenzioni del direttore la costrinsero ad abbandonare la scuola .
A 19 anni Margaretha , quattro mesi dopo aver risposto a un annuncio di cuori solitari, si ritrovò sposata con Rudolph "John" MacLeod, un ufficiale alcolizzato dell’esercito delle indie orientali che aveva quasi il doppio della sua età. Il matrimonio non fu dei più felici. Il marito aveva pochi soldi e molti debiti e un buon numero di relazioni extraconiugali.
Nel 1897, in viaggio verso Sumatra con il figlio Norman-John e il marito, Margaretha scoprì che quest’ultimo le aveva trasmesso la sifilide.
Nel 1898, la coppia ebbe una bambina, Louise Jeanne, ma la loro relazione non migliorò.
La famiglia venne sconvolta dalla tragedia della perdita del piccolo Norman, che morì l’anno dopo, probabilmente avvelenato (forse a causa di medicinali o per vendetta). Nonostante gli sforzi per riprendersi dal grave lutto, la vita continuò a essere insopportabile per la giovane madre, che arrivò a sfiorare la follia.
Nel 1902, Margaretha e il marito si separarono definitivamente; lui ottenne la custodia della bambina, mentre lei si trasferì a Parigi per tentare la fortuna.
Consacrata, il 18 agosto 1905, dopo l'esibizione al teatro dell'Olympia, come l’«artista sublime», Mata Hari iniziò una tournée che fu un vero e proprio trionfo, venendo incontro alla fantasia, ingenua e torbida e al fascino proibito dell'erotismo. Alla fine del 1911 raggiunse il vertice del riconoscimento artistico al Teatro alla Scala di Milano.
Mata Hari era considerata la donna più affascinante e desiderabile di Parigi: frequentava uomini altolocati che la riempivano di regali costosi solo per godere della sua compagnia.
Nel 1914 si recò a Berlino per un nuovo spettacolo, ma quello spettacolo non ebbe mai luogo: con l'assassinio del principe ereditario austriaco, finì la Belle Epoque ed ebbe inizio la Prima guerra mondiale.
Mata Hari viaggiava molto e, per questo, catturò l’attenzione del mondo del controspionaggio. Nell’autunno del 1915, la danzatrice ricevette una cospicua somma di denaro dai tedeschi per svolgere attività spionistica a favore della Germania. Mata Hari accettò e così venne arruolata nelle file segrete del Kaiser; agente H21 fu il nome in codice che le venne assegnato.
Tuttavia, giunta in Francia, la danzatrice pensa di poter guadagnare ancor di più arruolandosi anche per i servizi segreti francesi.
Inizia la doppia vita dell’agente Mata Hari costretta a tenere i rapporti con due nazioni avversarie, a muoversi in due paesi lavorando per entrambi.
Su di lei sono puntati gli occhi dei servizi segreti di tre paesi: i Deuxième Bureau di Parigi, i primi a insospettirsi e a pedinarla, gli Abteilung IIIb di Berlino e infine i Secret Intelligence Service di Londra. I tedeschi sono i primi ad avere le prove del suo tradimento e vogliono che anche i francesi la scoprano per poterla così eliminare.
L'ipotesi che i tedeschi avessero deciso di disfarsi di Mata Hari - rivelandola al controspionaggio francese come spia tedesca - poggia sull'utilizzo da loro fatto in quell'occasione di un vecchio codice di trasmissione, già abbandonato perché decifrato dai francesi, nel quale Mata Hari veniva ancora identificata con la sigla H21. In tal modo, i messaggi tedeschi furono facilmente decifrati dalla centrale parigina di ascolto radio della Torre Eiffel.
Il 2 gennaio 1917 Mata Hari rientrò a Parigi e la mattina del 13 febbraio venne arrestata nella sua camera dell'albergo Elysée Palace e rinchiusa nel carcere di Saint-Lazare.
Durante il processo, i tanti ufficiali francesi dei quali fu amante, interrogati, la difesero, dichiarando di non averla mai considerata una spia.
Fu giustiziata nelle prime ore del 15 ottobre 1917. Aveva 41 anni.
Immagine: Mata Hari posa con un vestito di pizzo agli inizi del XX secolo


Fonti:
enciclopediadelledonne di Ludovica Midalizzi
Wikipedia
storicang matahari, di Pat Shipman

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penelope - Donne coraggiose Empty La contessa di Castiglione

Ven Dic 15, 2023 8:52 pm
penelope - Donne coraggiose 1858-610



LA STORIA DI VIRGINIA OLDOINI, LA CONTESSA DI CASTIGLIONE.
 
Fu certamente tra le donne più belle della sua epoca, la più intrigante e chiacchierata, la personificazione della vanità femminile. Audace, altera e superba, mostrava con orgoglio agli ammiratori le mani seducenti e i magnifici piedi. I suoi occhi erano di un intenso verdazzurro dalle sfumature ametista, ma anche nel fuoco della passionalità più violenta rispecchiavano una mente lucida e fredda. È passata alla storia per avere sedotto, dietro la regìa del Conte di Cavour, Napoleone III portandolo così a sostenere la causa dell’indipendenza italiana. Virginia Oldoini Verasis nacque a Firenze il 23 marzo 1837. Figlia del nobile marchese spezzino Filippo Oldoini e della fiorentina Isabella Lamporecchi,. Non aveva ancora 17 anni quando, il 9 gennaio 1854 divenne contessa di Castiglione, andando in sposa al conte Francesco Verasis di Castiglione Tinella e di Costigliole d’Asti, cugino di Cavour, assolutamente deciso a sposare la donna più bella d’Italia, nonostante sapesse di non essere ricambiato. Morirà tragicamente nel 1867 investito da una carrozza. Dalla amata Spezia, appena sposata, si trasferì a Torino alla corte di Vittorio Emanuele di Savoia e quindi a Parigi. Dopo un esordio memorabile alle Tuileries, alla sfolgorante ventenne bastò poco per sedurre Napoleone III nella stanza azzurra del Castello di Compiègne e quindi riuscire nella missione di Stato che le era stata affidata. Era il gennaio del 1856.  Virginia aveva una predilezione per gli abiti originali e audaci, la sua innata costosissima eleganza, sempre ricercata fin nei più piccoli dettagli  e il suo charme conquistarono tutti. Non c’era  ricevimento né evento mondano al quale non venisse invitata per il suo fascino e il suo spirito. 
Napoleone III la coprì di gioielli, tra cui una collana a cinque giri di perle. Si favoleggiava anche di un appannaggio mensile di 50mila franchi. Dopo l’armistizio di Villafranca, nel luglio 1859, la sua stella presso l’imperatore dei francesi cominciò a offuscarsi a vantaggio della moglie del ministro degli esteri contessa Walewska. Di questo ne approfittò l’imperatrice Eugenia, da sempre sua acerrima nemica, che ne ottenne l’espulsione dalla Francia. Nel 1862, per intercessione dell’ambasciatore Costantino Nigra, tornerà a Parigi con propositi di rivalsa nonostante l'irritazione di re Vittorio Emanuele II, seccato per le sue eccessive pretese. Caduto il Secondo Impero nel 1870, con abilità e scaltrezza continuò a tessere, tra Parigi e La Spezia, la rete delle sue amicizie influenti collezionando numerosi amanti. Ma il tempo passava implacabile e Virginia con il passare degli anni visse sempre più sola, nel terrore dell’indigenza, sopraffatta da cupa nevrastenia e senso di persecuzione. Per non vedere la sua decadenza fisica nascondeva il volto, copriva gli specchi, usciva solo la notte, circondandosi di un’aura di mistero. In crisi di liquidità, nel 1893 subì l’onta dello sfratto dal suo ammezzato di Place Vendôme occupato dal 1876. Morì a Parigi il 28 novembre 1899 in un piccolo alloggio. All’indomani del suo funerale, la polizia e Carlo Sforza per l’ambasciata italiana distrussero tutte le lettere e i documenti compromettenti riguardanti re, politici, papi e banchieri, da Napoleone III a Bismarck, Cavour, Pio IX, Rothschild.


Emiliano D.

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penelope - Donne coraggiose Empty Audrey ,una ragazza coraggiosa

Ven Dic 08, 2023 7:14 pm
penelope - Donne coraggiose Opera542

Il papà era inglese, la mamma olandese. Nobili entrambi.
Lei era solo una ragazzina, ma aveva capito perfettamente che quello che stava accadendo era terribile. Il momento peggiore però fu quando la Storia si mischiò con la sua storia personale, e suo padre, simpatizzante nazista, abbandonò la famiglia.


La madre allora decise di trasferirsi in Olanda, ad Arnhem, sperando che lì sarebbero stati al riparo dalla guerra. Per un po’ ebbero una vita normale: Audrey andava a scuola, al conservatorio, studiava danza.
Finché nel 1940 la cittadina fu invasa dai nazisti. La normalità non ci fu più. Audrey divenne Edda, per non dare nell’occhio con un nome troppo inglese.
Nel 1942 uno zio di Audrey, partigiano, fu catturato dai tedeschi, portato nei boschi e ucciso.


Audrey rimase sconvolta da quell’evento, e forse anche per questo si avvicinò alla Resistenza olandese. Prese contatti con un gruppo di partigiani olandesi, molto attivi nel nascondere ebrei e oppositori politici. Audrey decise di collaborare con loro: aveva appena 14 anni, e cominciò a fare la staffetta. Lei parlava molto bene l’inglese, quindi era utilissima per portare i messaggi dai partigiani agli alleati nascosti nei paraggi. Ma anche per diffondere un giornale clandestino. E poi per raccogliere fondi, grazie alle sue esibizioni di danza. Ballava nonostante mostrasse già i sintomi della malnutrizione, inevitabile in quegli anni terribili e difficili


Non esitò, insieme ai suoi familiari, ad accogliere e nascondere un paracadutista britannico rimasto disperso dopo la battaglia di Arnhem. Nonostante i rischi, nonostante sapessero benissimo di rischiare la fucilazione se scoperti. Ma lei sapeva di fare la cosa giusta.


Finalmente il 4 maggio 1945, proprio il giorno del suo sedicesimo compleanno, l’Olanda fu liberata. Audrey racconterà in seguito che quella sensazione incredibile “di conforto nel ritrovarsi liberi, è una cosa difficile da esprimere a parole. La libertà è qualcosa che si sente nell'aria. Per me, è stato il sentire i soldati parlare inglese, invece che tedesco e l'odore di vero tabacco che veniva dalle loro sigarette”.


Eppure, in seguito Audrey non parlò spesso del suo passato da partigiana, diceva di non aver fatto nulla di straordinario, nulla di diverso da tutti i ragazzini olandesi che avevano fatto la loro parte durante la Seconda guerra mondiale.
Solo recentemente il suo passato da staffetta partigiana è diventato di dominio pubblico, grazie alle testimonianze del figlio, Luca Dotti, e grazie al giornalista statunitense Robert Matzen, che ha ricostruito la storia nascosta di Audrey in un libro del 2019.
Ma perché tanto interesse per la piccola partigiana Audrey?


Perché dopo poco tempo dalla fine della guerra, la staffetta Audrey diventerà una delle attrici più importanti del ventesimo secolo, un’icona di classe, di stile, eleganza: l’indimenticata e indimenticabile Audrey Hepburn.


(Il libro di Robert Matzen è “La guerra di Audrey.
 Storia di una ragazza coraggiosa che sfidò Hitler”, Piemme, 2019).

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